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Nella Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo su “Non discriminazione e pari opportunità”-COM(2008) 420– il Consiglio Europeo chiede agli Stati membri di promuovere la diversità nella forza lavoro affinché sostengano lo sviluppo della gestione della diversità, sia nelle grandi che nelle PMI in linea con gli obiettivi Europa 2020 volti alla “crescita inclusiva basata su un'economia con un alto tasso di occupazione, che favorisca la coesione economica, sociale e territoriale”.

Ciononostante, la ricerca “Discrimination on grounds of sexual orientation and gender identity in Europe” pubblicata dal Consiglio di Europa alla fine del 2011, rivela che pochissimi Stati EU compilano statistiche sulla discriminazione nel mondo del lavoro, e le statistiche esistenti non sono generalmente disaggregate in modo significativo. Le ragioni della discriminazione LGBT e del suo silenzio possono essere ricondotte a diversi fattori. Da un lato, come emerge dallo studio "Lavoro e minoranze sessuali in Italia"(2012), in molti casi i/le lavoratori/trici LGBT “sono invisibili e discriminati, e spesso preferiscono non denunciare i soprusi subiti da colleghi o dai loro capi” (mai o raramente per il 60%).

Dall’altro, come suggerisce il rapporto ILGA-Europe 2012, i datori esitano ad affrontare un soggetto considerato spesso difficile da trattare, piuttosto che una potenziale risorsa di crescita personale e professionale per tutti/e. Nel complesso, conferma l’Annual Review of the Human Rights Situation of LGBTI People in Europe–ILGA 2013, alcune ricerche pubblicate in Italia, Francia e Malta dimostrano che la discriminazione nelle assunzioni persiste in modo elevato per gli uomini apertamente gay (30% in Italia) e che le tematiche relative alla salute sessuale continuano ad essere considerate sensibili e difficili da gestire sia da parte dei sindacati e sia per le persone che possono essere testimoni di discriminazione LGBT oppure esserne vittime.

Un’ ulteriore recente indagine condotta dal Diversity Management Lab di SDA Bocconi su un campione di aziende italiane mostra infatti che in molti casi continuano a mancare ruoli e pratiche specifiche per il diversity management : solo il 23% dichiara che nella propria azienda è presente un sistema di pratiche per la gestione delle diversità, a fronte di un 30% che ne sottolinea la mancanza. Tale dato assume particolare significato se si considera che, all’interno della popolazione organizzativa, persone meno giovani, stranieri, disabili e omosessuali risultano svantaggiati nei processi di assunzione e di promozione.

Appare chiaro quindi il bisogno di migliorare la posizione dei/delle lavoratori/trici LGBT per ridurre e contrastare il disagio che dichiarano di vivere, o esprimono, nei luoghi di lavoro ma anche evidentemente la necessità di fornire nuove competenze alle imprese affinché sviluppino una nuova dimensione della diversità che non si limiti solo a combattere la discriminazione LGBT, ragionando in termini di tolleranza dell’altro/a LGBT, ma che incoraggi piuttosto la valorizzazione delle differenze legate all’orientamento sessuale come una risorsa produttiva, dotando le aziende di strumenti efficaci per introdurre ed attuare politiche e pratiche di Diversity.